Nei paesi industrializzati il tempo dedicato all’attività fisica svolta nel tempo libero e nelle occupazioni quotidiane declina progressivamente con l’avanzare dell’età. Dati del National Health Interview Survey (NHIS) mostrano che meno del 30% della popolazione anziana degli Stati Uniti pratica regolarmente esercizio fisico secondo le raccomandazioni ufficiali dell’American College of Sports Medicine (almeno tre giorni alla settimana per più di 20 minuti). Questi dati vengono confermati da uno studio condotto in una popolazione americana di 7801 soggetti anziani. La prevalenza di esercizio fisico regolare in questo campione risultava essere del 37% nei soggetti maschili e del 24% in quelli femminili. Sembra che con il passare degli anni ognuno di noi tenda a ridurre il livello di attività fisica, sia quella collegata al lavoro, sia quella di „piacere“ svolta durante il tempo libero. A questa riduzione contribuisce non solo il pensionamento e quindi la perdita dell’attività fisica correlata all’ambiente lavorativo, ma anche la riduzione della motivazione al movimento e soprattutto il deterioramento dello stato di salute e il declino associato all’invecchiamento di molteplici funzioni fisiche. Precedenti indagini hanno evidenziato che l’invecchiamento si associa a progressiva riduzione della massa magra e dell’acqua corporea totale con conseguente incremento relativo e assoluto del tessuto adiposo corporeo. In particolare la carenza di tessuto muscolare, definita Sarcopenia, e l’eccesso di massa adiposa sono risultati associati a maggiore prevalenza di limitazioni funzionali e di disabilità fisica e quindi possono ostacolare lo svolgimento di una regolare attività fisica. L’invecchiamento si associa anche a riduzione della forza muscolare, della resistenza e della flessibilità, ad alterazioni della mobilità, a difficoltà a mantenere l’equilibrio, a rarefazione ossea e ad aumentato rischio di cadute. Oltre a questi fattori la presenza di condizioni patologiche croniche (cardiopatia ischemica, diabete mellito, ipertensione arteriosa, patologia neurologica degenerativa, malattia cerebrovascolare, patologia respiratoria e neoplastica, osteoporosi, artrosi), di deficit sensoriali e cognitivi e la presenza di barriere ambientali e psicosociali (pensionamento, isolamento, ecc.) possono condizionare la tolleranza del soggetto anziano verso sforzi associati all’esercizio fisico e la sicurezza nel praticare l’attività fisica con l’avanzare degli anni.
L’inattività e il decondizionamento fisico che spesso si verificano con l’avanzare dell’età conducono a peggioramento non solo delle alterazioni funzionali età-correlate, ma anche di condizioni patologiche lievi o subcliniche (quali obesità viscerale, intolleranza glucidica, osteopenia, ipertensione arteriosa, dislipidemia, coronaropatia) con aumento dell’utilizzo di farmaci e del rischio di scompenso funzionale. Nell’insieme tutto questo porta a ulteriore inattività, in un circolo vizioso che infine conduce al decadimento fisico e alla perdita di funzione, preludio alla perdita dell’autonomia.
È ormai noto che almeno in parte il declino funzionale e la ridotta riserva fisiologica che si accompagnano all’invecchiamento sono dovuti a complesse interazioni tra modificazioni legate all’invecchiamento, patologia e disuso. Condurre una vita sedentaria comporta innanzitutto peggioramento del tono muscolare, che non viene mantenuto in attività. A questo si aggiungono, specie per le persone anziane, depressione e maggiori difficoltà nel sonno, dal momento che starsene in casa non significa sempre riposare ma piuttosto un lasciarsi andare fisico e psicologico.
Il mantenimento di una regolare attività fisica in età avanzata potrebbe essere quindi di importanza fondamentale, e sembra che possa attenuare parecchie delle alterazioni funzionali età-correlate e in questo modo preservare un’autonomia funzionale anche nei soggetti molto anziani.